La crisi dei microchip ha segnato profondamente l’economia durante la Pandemia di Coronavirus ma è finita: cosa significa?
Una delle conseguenze più disastrose della Pandemia di Coronavirus è stata la diffusa crisi produttiva e logistica che ha paralizzato il mondo del commercio mondiale.
La crisi produttiva nasceva dal fatto che molte attività produttive, come quelle industriali, sono state bloccate completamente per motivi di sicurezza. Al fine di tutelare i lavoratori, infatti, le fabbriche sono state chiuse per evitare che si trasformassero in giganteschi incubatori di Coronavirus.
Quello che spesso però dimentichiamo è che per produrre tutto ciò che consumiamo c’è bisogno di materie prime. La Pandemia ha imposto anche il blocco delle attività estrattive, sempre per ragioni di sicurezza.
Questo significa che la filiera produttiva si è bloccata a tutti i livelli perché, anche se da un certo punto in poi le fabbriche hanno ricominciato a funzionare, non avevano più a disposizione le materie prime necessarie a fabbricare i loro prodotti.
Questo problema è diventato macroscopico nel settore tecnologico, conducendo a quella che è stata indicata come crisi dei microchip.
Cos’è e come è finita la crisi dei microchip
I microchip sono circuiti elettronici di piccolissime dimensioni che costituiscono il cuore di tutta la nostra tecnologia attuale.
Tutti gli apparecchi elettronici che utilizziamo ogni giorno ormai hanno un microchip, dalla lavatrice di ultima generazione alle automobili fino, ovviamente, a computer, smartphone, tablet e così via.
Per fabbricare chip e microchip sono necessari i cosiddetti semiconduttori, cioè semimetalli come silicio, germanio e l’arseniuro di gallio.
Questi materiali possono essere estratti sono in alcune zone del pianeta. L’80% dei semiconduttori si trova in Cina, mentre altri Paesi che possiedono giacimenti di questo tipo sono Australia, Brasile, Vietnam, Myanmar, California (USA) e Groenlandia.
Questo significa che paralizzando l’economia Cinese la Pandemia ha paralizzato la quasi totalità dell’estrazione di semiconduttori.
Fino a che le fabbriche erano ferme il problema non si è posto: nel momento in cui la produzione è ripartita, però, le fabbriche hanno esaurito molto in fretta le piccole scorte di cui erano in possesso.
Le imprese che si occupano di estrazione hanno quindi cominciato una folle rincorsa per rispondere alla domanda mondiale di semiconduttori. Proprio in quel momento è cominciata la crisi dei chip: i chip prodotti erano pochissimi e le materie prime costavano moltissimo.
Gli ultimi dati riportano, fortunatamente (da un lato) che questa crisi si può considerare finita. Una buona notizia? Non tanto. Non è la produzione di materie prime ad aver accelerato, è la richiesta di prodotti ad essere crollata.
Il motivo? La crisi energetica che ha fatto salire il costo delle forniture energetiche di tutto il mondo, l’inflazione che sta abbassando il potere d’acquisto dei salari, che nel frattempo non sono aumentati all’aumentare dei prezzi.
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Questo significa che il mondo è più povero e girano meno soldi, quindi la crisi del chip è terminata perché non possiamo permetterci di acquistare nuovi prodotti e le fabbriche stanno di nuovo rallentando la produzione. Non è esattamente una buona notizia.